PROTESI D’ANCA

Come scegliere il modello e la via d’accesso più adatti

La scelta del tipo di protesi

Spesso i pazienti mi chiedono quale sia la protesi migliore, la risposta è sempre complessa e non ce n’è, in realtà, una universalmente accettata. La verità è che tutte le protesi sono ottime e ognuna ha delle piccole diversità per quanto riguarda l’indicazione chirurgica in base al tipo di paziente e alla geometria della sua anca.

I modelli di protesi di anca che sono stati sviluppati negli anni sono davvero tanti.

Se fino a 20 anni fa venivano usate soprattutto le protesi di tipo cementato, oggigiorno questa tipologia di impianti, secondo le indicazioni della letteratura scientifica, viene usata solo in pazienti più anziani.

Tra gli impianti non cementati, che utilizzo nella quasi totalità dei casi, la distinzione avviene in base al tipo di stelo e al tipo di cotile.

Capiamo meglio come!

Stelo

Lo stelo è la parte di protesi che viene impiantata nel femore in seguito al taglio del collo e della testa del femore originari del paziente, che ormai sono consumati (o fratturati). Un tempo si usavano steli tradizionali lunghi, tipicamente cementati. Negli ultimi anni stanno però prendendo sempre più piede le protesi con stelo corto. Questo genere di protesi ha il vantaggio di permettere un approccio mini-invasivo: maggior rispetto dei tessuti muscolari, del tessuto osseo e, non ultimo, taglio di ridotte dimensioni. Il fatto di “risparmiare” una maggior quantità di osso è utile soprattutto nei pazienti più giovani che hanno maggiore probabilità di revisione. Per comprendere meglio farò un esempio: un paziente che fa una protesi a 60 anni – visto il progressivo aumento della sopravvivenza della popolazione – è probabile che dovrà andare incontro a un intervento di revisione quando avrà 80-85 anni se vuole proseguire con le sue normali attività; ecco perché è importante la mini-invasività.

Gli steli lunghi dal disegno più tradizionale sono destinati invece ai pazienti un po’ più anziani o con alterazioni anatomiche particolari. Il motivo principale è che uno stelo lungo ha una maggiore superficie di contatto con l’osso e quindi, quando l’osso non ha più una qualità ottimale, viene comunque garantita una migliore tenuta dell’impianto, evitando che lo stelo possa andare a “scavare” in un osso ormai un po’ fragile.

Esistono inoltre degli steli a sezione conica (anziché rettangolare) usati tipicamente per i pazienti con anche displasiche e steli specifici da revisione che hanno un colletto modulare per gestire le eventuali dismetrie (differente lunghezza tra gli arti) e le perdite di sostanza ossea. Ma qui andiamo troppo nello specifico.

Il materiale dello stelo è invece quasi sempre titanio rivestito con materiali ad alta porosità che favoriscano la biointegrazione come il tantalio e l’idrossiapatite.

Cotile

Il cotile è la parte di protesi che viene impiantata nel bacino in seguito a una apposita fresatura dell’acetabolo originario del paziente. Il cotile ha la forma di una sfera cava e ha la funzione di accogliere la testina presente sull’estremità dello stelo protesico.

I cotili, come gli steli, possono essere cementati o non cementati. Oggigiorno si preferisce usare cotili non cementati che vengono mantenuti in sede mediante il press-fit (volgarmente vengono “incastrati” nella cavità che crea appositamente il chirurgo). Questo perché l’assenza del cemento favorisce una migliore reazione dell’osso che andrà a integrare biologicamente l’impianto (discorso che vale anche per lo stelo). Il cotile, in alcuni casi, può anche essere impiantato mediante l’utilizzo di viti, inserite tramite gli appositi fori presenti nell’impianto. La scelta viene sempre effettuata dal chirurgo in base alla conformazione e alla qualità dell’osso del bacino.

L’altra grande differenza tra i cotili sta nella tribologia, cioè lo studio dei materiali e del loro attrito relativo durante il  movimento. Questo influisce sulla scelta dell’accoppiamento di materiali tra la superficie interna del cotile e la superficie della testina. Oggi i più utilizzati sono l’accoppiamento ceramica-ceramica e l‘accoppiamento metallo-polietilene.

La ceramica, molto liscia e inerte, consente un attrito minimo tra le componenti ma, essendo molto rigida, è un po’ più fragile.

Il metallo (per la testina) accoppiato a uno speciale inserto del cotile realizzato in polietilene cross-linkato con la vitamina E è invece la scelta ideale per i pazienti un po’ più anziani: è meno costoso da produrre, è più facile da impiantare visto che è più elastico e soprattutto, appunto per questa sua elasticità, conferisce maggior sicurezza in caso di piccoli traumi o cadute.

Esistono inoltre dei cotili per protesi a doppia mobilità nella quale la nuova articolazione artificiale avrà un doppio snodo. Questo tipo particolare di protesi, nato in Francia negli anni ‘70 e utilizzato soltanto oltralpe fino a pochi anni fa, si sta pian piano diffondendo anche in Italia perché riduce i rischi di lussazione. Questo tipo di protesi è particolarmente indicato in pazienti con deficit neurologici o muscolari e quindi maggiormente esposti al rischio di cadute anche perché, oltre al buon posizionamento dell’impianto, un fattore fondamentale per la stabilità della protesi è una buona massa muscolare.

Anche per il cotile il materiale esterno è titanio ricoperto da strati di materiale a elevata porosità.

In conclusione ribadisco che la scelta del migliore impianto protesico non è universale. Il chirurgo deve scegliere di volta in volta l’impianto migliore per quel tipo di paziente in base alle sue patologie, alla sua conformazione fisica e alla sua età.

Scelta della via d’accesso all’anca

Le vie d’accesso principali sono la laterale diretta, la postero-laterale e l’anteriore. Tutte e tre possono essere eseguite in maniera mini-invasiva e ciascuna via ha i suoi vantaggi e svantaggi. La scelta anche qui dipende sia dalle abitudini del chirurgo che dalla conformazione del paziente. Attualmente circa il 70% dei chirurghi mondiali utilizza la via postero-laterale, che personalmente è quella che preferisco, anche se in alcuni casi specifici utilizzo anche l’accesso anteriore.  Utilizzo una tecnica con accesso mini-invasivo già dal 2006.

In ogni caso esistono studi in letteratura scientifica che dimostrano che, indipendentemente dalla via d’accesso, a 6 mesi dall’intervento i risultati sono sovrapponibili. Quello che conta è il posizionamento con geometria corretta delle componenti protesiche per una lunga durata dell’impianto.

La tecnica mininvasiva, che negli ultimi anni si è sempre più affermata, consente di conservare quanto più possibile le strutture anatomiche (muscoli, legamenti e tendini, nervi, osso). Questa può essere praticata tramite la via d’accesso posterolaterale e tramite la via anteriore.  L’ intervento di protesi d’anca eseguito con tecnica mininvasiva, ha molti vantaggi rispetto alla tecnica “tradizionale”:

  • miglior recupero post-operatorio: il paziente abbandona le stampelle dopo 4 giorni dall’intervento
  • cicatrice più piccola (circa 7cm rispetto ai 15cm della tecnica “tradizionale”)
  • rispetto di tendini e muscoli che non vengono danneggiati durante l’intervento: questo dà al paziente la sensazione di sicurezza nel camminare fin dall’immediato post-operatorio
  • minori perdite di sangue durante l’intervento
  • riduzione delle complicanze settiche (infezioni) e vascolari (trombosi)
  • dolore ridotto nel post-operatorio
  • ridotti tempi di ospedalizzazione e costi
  • più rapido ritorno alla vita quotidiana, lavorativa e sportiva
  • ridotto rischio di lussazione
  • ottima durata della protesi nel tempo

Protesi di anca: quale  operazione scegliere