L’EPICONDILITE (o gomito del tennista)

Sintomi, diagnosi e terapia

La presenza di un dolore acuto ed intenso nella regione esterna del gomito prende il nome di epicondilite, in quanto deriva dall’infiammazione di un tendine alla sua inserzione ossea sull’epicondilo omerale.

Su tale sporgenza ossea sono numerosi i tendini dei muscoli (detti per l’appunto epicondiloidei) che prendono inserzione, ma solo uno di questi va incontro a tale forma patologia. Il tendine coinvolto appartiene al muscolo estensore radiale breve del carpo.

L’epicondilite fu descritta nel 1873 da F. Runge che parlò di crampi dello scrittore (Schreibekrampfes), ma fu M. Morris, pochi anni dopo, (Riders sprain; Lancet 1882) il primo che usò la locuzione tennis elbow (gomito del tennista). Infatti, comunemente questa patologia si definisce anche gomito del tennista intendendo sicuramente più la sollecitazione continua che il tennis impone su questo muscolo che la particolare frequenza di questa malattia nei tennisti.

Nella pratica clinica è infatti assai più frequente ritrovarla in persone che svolgono altre attività sia lavorative che sportive, o anche in chi non svolge occupazioni particolarmente pesanti. Deve essere ricordato, infatti, che il muscolo interessato viene sollecitato per qualsiasi movimento del polso e della mano, anche il più semplice e ripetitivo, come scrivere, digitare su una tastiera, girare una chiave, guidare. A questo livello le sollecitazioni sono alte per qualsiasi tendine proprio per il gradiente di tensione tra osso e tendine e per la notevole resistenza delle fibre che penetrano l’osso come le radici nel terreno. È difficile, pertanto, capire perché questo disturbo interessi solo quel particolare tendine. Accanto alla sollecitazione meccanica esiste certamente una predisposizione individuale a sviluppare la malattia.

Classificazione

Vi sono molti modi di classificare l’epicondilite. Una delle più usate è quella relativa agli stadi anatomo-patologici della malattia. In base a questa classificazione si distinguono 4 stadi:

  • Stadio 1: il danno è di tipo infiammatorio. Non sono presenti alterazioni istologicamente interessanti del tendine. In questo stadio si avverte dolore quando si svolgono attività abbastanza intense; la dolenzia scompare totalmente con il riposo e la terapia antinfiammatoria. Questo stadio è completamente reversibile.
  • Stadio 2: è presente una degenerazione angiofibroblastica del tendine. Il dolore compare anche con attività blandamente intense; non sempre la dolenzia scompare con il riposo. La risposta alla terapia antinfiammatoria non è sempre ottimale.
  • Stadio 3: si è in presenza di degenerazione patologica angiofibroblastica di notevole entità. Il dolore è molto intenso, tanto da impedire, molto spesso, lo svolgimento delle normali attività lavorative o sportive.
  • Stadio 4: sono presenti aree fibrotiche e calcificazioni. La terapia conservativa è spesso priva di qualsiasi efficacia e si richiede un approccio terapeutico importante.

Quando si manifesta e come si effettua la diagnosi?

La fascia di età più colpita è quella dai 30 ai 50 anni. Spesso, inoltre, non viene identificata un’attività “scatenante” precisa: il dolore viene inizialmente trascurato e successivamente trattato in modo inefficace, con diverse terapie, ma senza mantenere l’arto interessato a riposo, che rappresenta la prima arma terapeutica. La permanenza delle sollecitazioni sul tendine rende, infatti, vano qualunque programma terapeutico. Nella maggioranza dei casi, per la formulazione della diagnosi è sufficiente il solo esame obiettivo (cioè la visita). Dopo la valutazione anamnestica, lo specialista procede con la pressione e palpazione della parte interessata per accertarsi della provenienza del dolore; in qualche raro caso si riscontra una modesta tumefazione a livello locale. A confermare il sospetto diagnostico vengono effettuati alcune specifiche manovre come ad esempio:

  • il test di Cozen: a gomito flesso l’estensione contro resistenza di polso e dita provoca dolore
  • il test di Maudsley: si avverte dolore all’estensione contro resistenza del dito medio

Sebbene l’esame obiettivo sia, come detto, sufficiente nel porre la diagnosi di epicondilite, generalmente il medico richiede una radiografia allo scopo di evidenziare l’eventuale presenza di calcificazioni a livello dell’epicondilo e per escludere alterazioni di tipo scheletrico a carico della testa del radio (osso dell’avambraccio). Talvolta gli esami strumentali ( TAC e risonanza magnetica) vengono richiesti per escludere patologie che possono scatenare una sintomatologia simile a quella dell’epicondilite (sofferenza cervicale, patologie articolari, sindrome del tunnel carpale, tendinite della cuffia dei rotatori ecc.).

Trattamento

Innanzitutto è essenziale che qualunque trattamento conservativo sia associato a riposo assoluto del muscolo interessato (estensore radiale breve del polso) e questo significa, per l’epicondilite, evitare il movimento attivo del polso (sospendendo le attività sportive e lavorative “incriminate”) fino alla risoluzione del disturbo. Nella fase acuta si ricorre generalmente ai FANS (antinfiammatori) sia per via generale che locale (sotto forma di cerotti transdermici, crema, gel o schiuma). Si associa utilmente la crioterapia (borsa di ghiaccio + acqua da applicare 2 – 3 volte al dì per 20 minuti). A mio avviso è da evitare di ricorrere alle infiltrazioni locali di corticosteroidi (i quali possono portare alla degenerazione del tendine o a discromie cutanee nella zona di accesso). Utile, invece, la mesoterapia associando FANS, farmaci miorilassanti ed anestetici come la lidocaina. Ovviamente, come detto prima, in questa fase il riposo funzionale è d’obbligo e per rendere possibile ciò, in qualche caso, allo scopo di alleviare la sintomatologia dolorosa, vengono prescritti speciali tutori. Nella fase subacuta si ricorre a un approccio di tipo fisioterapico utilizzando terapie di tipo fisico quali laserterapia, ionoforesi, ultrasuoni, tecarterapia e, nei casi in cui sono presenti calcificazioni (stadio IV), si potranno utilizzare con successo le onde d’urto. A tali mezzi fisici andranno associate tecniche di massoterapia e chinesiterapiche che conducendo ad rilassamento muscolare comportano una riduzione di tensione sul tendine infiammato. Un corretto approccio con i mezzi suddetti porta spesso a notevoli benefici e solo in rari casi è necessario ricorrere alla chirurgia. La tecnica chirurgica prevede un distacco dell’inserzione tendinea (intervento di Hohmann) o l’asportazione del tessuto tendineo degenerato (intervento di Nirschl). Prima di ricorrere all’operazione però bisogna provare l’approccio conservativo! Il tutore deve essere indossato a tempo pieno per tre mesi. Le terapie antinfiammatorie topiche locali possono essere associate all’uso del tutore allo scopo di accelerare la guarigione.