ROTTURA DEL TENDINE D’ACHILLE

Sintomi, diagnosi e terapia

Il tendine di achille prende origine dalla fusione del muscolo gastrocnemio e del soleo, e si inserisce a livello dell’apofisi calcaneare posteriore. E’ deputato alla spinta del piede. Gli sport che più frequentemente determinano questa patologia, sono il calcio, il basket, la pallavolo, e l’atletica leggera. Tale lesione, non riguarda solo gli sportivi, ma viene evidenziata anche in soggetti non più giovani. Colpisce maggiormente i maschi in un’età compresa tra i 25 e i 50 anni. Si possono distinguere le lesioni acute e le lesioni degenerative.

Possiamo quindi considerare:

  • Rotture da traumi diretti (ferite da taglio, da punta…)
  • Rotture traumatiche indirette (frequenti in sport quali sci, atletica…)
  • Rotture spontanee (patologie degenerative o da traumi ripetuti anch’esse caratteristiche degli atleti).

Nell’anziano, come già accennato la rottura avviene quasi sempre su base degenerativa.

Sintomi
Mentre nel trauma acuto il paziente riferisce di un evento traumatico con improvvisa sensazione di colpo o morso associato a dolore, nelle rotture croniche, può essere presente una storia di subdole e modeste algie al tendine associata ad un evento traumatico di lieve entità con sintomatologia più sfumata rispetto al trauma acuto. Il paziente spesso riferisce un fastidio costante che si protrae da tempo. Una volta lesionato, nella zona tendinea, si evidenzia una sorta di avvallamento più o meno evidente, e una mancanza di continuità del profilo tendineo, il movimento attivo di articolarità del piede è ridotto, e il movimento articolare suscita dolore. Il paziente a volte però riesce a camminare in autonomia.

Diagnosi
Di norma non è difficile, infatti alla palpazione diretta del tendine con piede in dorsiflessione a paziente prono, si mette in evidenza l’avvallamento determinato dalla rottura. Tuttavia l’edema, l’ecchimosi, e la poca collaborazione del paziente, non sempre aiutano nella diagnosi che può essere completata da un esame ecografico o uno studio RMN. La flessione non sempre appare francamente alterata a causa della continuità di alcune fibre e della guaina e per l’aiuto dato da altre strutture muscolari quali il tibiale posteriore. Utile può essere la manovra di Thompson: pinzamento e compressione del polpaccio con paziente prono. Quando il tendine è intatto si dovrebbe evidenziare la dorsiflessione passiva del piede.

Le rotture parziali, frequenti nelle lesioni da taglio con lesioni subcutanee, possono risultare misconosciute in quei casi (25%) di decorso mediale del tendine plantare. Raramente si associa un esame RX: esso andrebbe effettuato in caso di sospetta disinserzione del tendine dalla tuberosità calcaneare.

Terapia
Il trattamento incruento per quanto possibile con un lungo periodo di immobilizzazione, può esitare in ri-rotture, allungamenti del tendine, diminuzione della forza flessoria, impotenza funzionale. Per tale motivo spesso si consiglia di intervenire chirurgicamente ed in tempi rapidi. Ove ciò non sia possibile, è consigliabile un’immediata immobilizzazione in stecca gessata e piede posto in flessione plantare (posizione equina). L’intervento chirurgico di elezione è la tenorrafia (cioè la sutura del tendine) che può essere effettuata con varie tecniche. Nei casi di perdita di sostanza, possono essere utilizzate come rinforzo, strutture tendinee autologhe. Ultimamente si effettua (dove possibile), una sutura percutanea con accesso chirurgico minimo.

Il trattamento post-operatorio
Si distingue una prima fase con stivaletto gessato o tutore tipo rom walken con piede in leggera flessione plantare per circa quattro settimane, e una seconda nella quale si comincerà un trattamento fisioterapico di mobilizzazione passiva e attiva associata ad una ginnastica in acqua. Lo scopo è quello di ridare una continuità funzionalmente valida al tendine, senza provocare tenaci fenomeni di fibrosi riparativa che potrebbero compromettere un’adeguata elasticità articolare. La ripresa dello sport dipende dalla disciplina praticata, ma è consigliabile non prima dei 60 giorni. È importante sottolineare che il grado di flessione della tibio tarsica nelle immobilizzazioni, non dovrebbe mai essere forzata, ma dovrebbe essere quello in “equino gravitario”, ovvero la posizione di riposo che il piede assume quando il paziente è seduto con le gambe pendenti.