Displasia dell’anca nel neonato: l’importanza di una diagnosi precoce
La displasia dell’anca è un’anomalia scheletrica che colpisce i neonati: se trattata tempestivamente in modo adeguato può guarire o residuare in invalidità di minima entità. Ne parla il dottor Claudio Manzini, Responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia I degli Istituti Clinici Zucchi a Monza.
La displasia dell’anca è un’anomalia scheletrica che interessa l’articolazione tra la testa del femore e la cavità acetabolare del bacino. Si tratta di una condizione congenita nei neonati, ovvero presente sin dalla nascita. Maggiormente esposte al rischio sono le bambine, con un’incidenza cinque volte maggiore rispetto ai maschi.
Tale anomalia, se non tempestivamente diagnosticata, può comportare l’insorgere di diverse problematiche, con il passare del tempo, specie, quando il bambino comincerà a camminare: l’anca infatti tenderà a lussare dando luogo a un accorciamento dell’arto e una zoppia. A questo si aggiungeranno, una minore mobilità e a volte una tensione a carico dei muscoli adduttori.
La displasia congenita dell’anca nei neonati, è completamente asintomatica: per questo a fare la differenza è la diagnosi precoce. Alla nascita il neonato viene valutato clinicamente dal neonatologo o dall’ortopedico pediatrico: qualora vi sia il sospetto clinico, derivante dalla positività alla manovra di Ortolani (cioè se l’ortopedico pediatrico, eseguendo una flessione e abduzione dell’anca, avverte uno scatto dovuto al riposizionemento della testa del femore nella sua sede fisiologica) il bambino eseguirà tempestivamente un’ecografia dell’anca, esame non invasivo che consente di identificare anomalie di maturazione e di sviluppo. Stesso iter diagnostico è destinato ai neonati che presentano dei fattori di rischio come la familiarità per la patologia, un parto gemellare, una presentazione podalica al parto e una macrosomia fetale. Negli altri casi, invece, lo screening ecografico è consigliato entro i tre mesi di vita.
Per quanto riguarda gli accertamenti ecografici, va sottolineata la necessità di un programma di certificazione che consenta una lettura quanto più possibile corretta del referto: sono infatti numerosi i casi di sovradiagnosi (falsi positivi) che comportano un eccesso di trattamenti, ma anche i casi di omessa diagnosi (falsi negativi) con importanti conseguenze sulla salute dei bambini.
Il trattamento precoce non chirurgico prevede che il bambino indossi per qualche mese dei tutori che tengono le anche divaricate al fine favorire uno sviluppo con la testa del femore centrata nell’acetabolo. In casi rari e particolarmente gravi potrebbe rendersi necessario un intervento chirurgico.
Quando trattata adeguatamente e precocemente, la patologia può avere conseguenze minime. Quando invece non riconosciuta o non trattata – come troppo spesso capitava in passato – la displasia comincerà a causare degli importanti problemi di deambulazione già dalle prime fasi della vita adulta.