fratture ossee dott claudio manzini

Fratture ossee: quello che dovresti sapere

Quali sono, chi è più esposto e i rischi di quelle non guarite. Come si curano le fratture ossee in modo efficace

Quando ci si trova di fronte a casi di fatture ossee, la prima cosa da fare è definire di che tipo di danno si tratta per intervenire tempestivamente e nel modo più adeguato.

Esistono fratture dovute ad un evento traumatico e, più raramente, fratture di origine spontanea. Su questo aspetto torneremo tra poco.

Prima di tutto è bene sottolineare che, se per alcune tipologie di frattura basta immobilizzare la parte interessata per circa 3-4 settimane per risolvere il problema (con la formazione di un callo osseo), per altre, invece, si rende quasi sempre necessario l’intervento chirurgico con l’inserimento di viti, chiodi o protesi. Penso soprattutto alla frattura del femore, molto frequente in pazienti anziani in seguito a banali cadute, specie quando l’osso è indebolito dall’osteoporosi.

Un tempo (circa 2500 anni fa) Ippocrate scriveva: “Qualsiasi osso, cartilagine o tendine sia tagliato nel corpo, non si accresce”. Aveva ragione? Parzialmente sì. L’obiettivo dell’ortopedico e traumatologo è quello di sopperire a questo limite naturale.

Fratture ossee: fisiologiche e patologiche

La maggior parte delle fratture sono “fisiologiche”: ovvero avvengono a seguito di un evento accidentale e coinvolgono un osso sano sottoposto ad un trauma (proprio di recente ho affrontato il tema degli sport più traumatici). Al contrario le fratture patologiche colpiscono un osso indebolito a causa di una patologia.

Al di là di metastasi ed altri eventi di origine tumorale, è ormai noto e documentato come le patologie reumatiche dell’apparato muscolo-scheletrico aumentino il rischio di fratture (eccezion fatta per la gotta, come ho già scritto in questo articolo). Allo stesso modo chi soffre di diabete di tipo due è maggiormente esposto a questo rischio. Anche se la causa più frequente di fratture patologiche è l’osteoporosi, vale a dire il il deterioramento della micro-architettura del tessuto osseo. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute, in Italia, il 23% delle donne oltre i 40 anni e il 14% degli uomini con più di 60 anni è affetto da osteoporosi.

Frattura composta, scomposta ed esposta: cosa cambia

Le fratture possono essere inoltre suddivise in tre categorie:

  • Frattura composta

  • Frattura scomposta

  • Frattura esposta

Naturalmente, la classificazione completa delle fratture è più complessa. Per il medico è importante stabilire correttamente il tipo di trauma o comunque l’evento/patologia all’origine del danno osseo, approfondendone anche la dinamica. Un’altra suddivisione delle fratture è ad esempio quella in base al tipo di forza meccanica applicata sull’osso al momento del trauma. Esistono così le seguenti fratture:

  • Frattura per flessione

  • Frattura per compressione

  • Frattura per strappamento

  • Frattura per torsione

Concentriamoci per il momento sulle fratture composte, scomposte ed esposte, che è forse la qualifica più usata anche dai “non addetti ai lavori”.

Frattura composta

La frattura si definisce composta quando le parti dell’osso interessate rimangono sostanzialmente nella loro posizione anatomica originale.

Frattura scomposta

A contrario del caso precedente, la frattura scomposta è quella in cui i due monconi ossei subiscono uno spostamento. In base al tipo di deviazione rispetto alla posizione originaria, una frattura scomposta può a sua volta classificarsi come

  • laterale

  • angolare

  • rotatoria

  • longitudinale

Frattura esposta

Sono quelle fratture nelle quali si interrompe la continuità dei tessuti molli che ricoprono l’osso (vale a dire muscoli, fasce e pelle). Per dirla in parole semplici, sono quelle fratture il cui l’osso esce letteralmente dalla pelle. Fanno tanta impressione e sono anche temibili dal punto di vista chirurgico soprattutto per i rischi di danni vascolari, di infezioni e di assenza di guarigione.

Occhio alle fratture invisibili

La radiografia rappresenta l’indagine di primo livello: è rapida, poco costosa, non dannosa per il paziente (la dose di raggi X è bassa) e permette di individuare la maggior parte delle fratture.

Ma è uno strumento infallibile? Evidentemente no.

Come riportava uno studio condotto ormai una decina d’anni fa da un gruppo di ricercatori della Duke University e pubblicato sull’American Journal of Roentgenology, una frattura su tre resta invisibile ad una semplice radiografia.

Naturalmente, l’ortopedico e traumatologo ha anche altri strumenti di indagine per approfondire situazioni non così evidenti da una comune lastra come la tomografia computerizzata (Tac) e la risonanza magnetica (RM), entrambe molto preziose in ambito ortopedico.

… E alle fratture ossee non guarite

Sebbene l’osso sia tra i tessuti del corpo umano che guariscono meglio, sono molte le persone che convivono con i problemi causati da fratture ossee non guarite correttamente che, inizialmente, danno origine a fastidi “sopportabili” nel paziente.

Il punto è che le fratture ossee non guarite non vanno assolutamente sottovalutate. Quando non si forma un callo osseo tale da stabilizzare le parti danneggiate o si subisce un ritardo di consolidazione, il rischio è quello di incorrere in episodi di pseudoartrosi con dolori costanti oppure improvvisi a seguito di determinati movimenti o carichi.

Il tempismo è decisivo

Il tempismo è sempre decisivo per il trattamento ottimale di nuove fratture ossee o di fratture ossee non guarite, al fine di consentire al paziente il pronto e pieno ritorno ad una vita normale e ad un’eventuale attività sportiva. Per dubbi o maggiori approfondimenti, rivolgetevi sempre ad un ortopedico e traumatologo.