La protesi di rivestimento dell’anca

La protesi di rivestimento dell’anca (hip resurfacing) non è un’alternativa meno invasiva rispetto alla tradizionale protesi d’anca, anzi…

La verità sulla protesi di rivestimento dell’anca (hip resurfacing). Ecco perché non è un’alternativa meno invasiva rispetto alla tradizionale protesi d’anca. Anzi…

Protesi di rivestimento dell’anca: un po’ di storia

La protesi di rivestimento dell’anca è una tecnica chirurgica mirata al trattamento della coxartrosi che prevede una resezione solo parziale della testa femorale.

È un tipo di protesi che nacque negli anni ’70, acquisì rapidamente popolarità in Europa e USA e venne però poi presto abbandonata intorno agli anni ’80 a causa dell’usura importante delle componenti che portava a osteolisi e mobilizzazione precoce con fallimento dell’impianto. Negli anni ’90 McMinn e Wagner svilupparono un nuovo modello di resurfacing che sembrava promettere migliori risultati ma che intorno agli anni 2000 finì sotto i riflettori per essere responsabile di una serie di reazioni avverse tissutali come pseudotumor, vasculiti asettiche e metallosi.

Nel 2010 due modelli di resurfacing vennero tolti dal mercato e al giorno d’oggi esiste praticamente solo un modello di protesi di rivestimento che viene impiantato: la BHR (Birmingham Hip Resurfacing) della Smith and Nephew. 

Si può ben notare come questo concetto di protesi sia sotto i riflettori da ormai 50 anni, eppure continui a non guadagnare il consenso tra gli specialisti a causa delle sue luci e (soprattutto) ombre. 

Meno invasiva? No!

Innanzitutto, bisogna chiarire che non è una alternativa meno invasiva alla protesi classica con stelo femorale. Il rivestimento è una protesi d’anca a tutti gli effetti. E anzi, benché più risparmiosa sull’osso del collo femorale, risulta infine più invasiva rispetto a una protesi classica per due motivi principali. 

  • Il fatto resecare la testa femorale nella protesi classica permette di creare uno spazio utile per lavorare sull’acetabolo e di essere così meno invasivo su tutti i tessuti e muscoli circostanti l’anca. L’ingombro causato dalla presenza di testa e collo durante l’impianto della protesi di rivestimento obbliga così a una maggiore esposizione e traumatismo dei tessuti molli. Infatti, la via d’accesso che la quasi totalità dei chirurghi che impianta rivestimento utilizza è una via posterolaterale con ampia esposizione, sicuramente più invasiva rispetto alle ormai diffusamente praticate e mini-invasive via posterolaterale e via anteriore. La via posterolaterale con ampia esposizione può inoltre causare una compromissione della vascolarizzazzione della testa femorale con conseguente osteonecrosi della testa femorale (problema che non si pone con la protesi classica poiché la testa viene asportata).
  • Per motivi tecnici, geometrici e meccanici, la media dei diametri delle componenti cotiloidee impiantate su protesi di rivestimento è nettamente più elevata rispetto a quella delle protesi tradizionali. Da una serie francese di casi di “resurfaçage” è emerso che il diametro medio dei cotili è intorno ai 60 mm, laddove in una protesi tradizionale è raro andare oltre un cotile 56mm. E capite bene che, in una procedura ad alta precisione come la protesi d’anca, dove tutto si gioca su pochi mm, risparmiare 4, 6 o più millimetri di osso può fare un’enorme differenza. Soprattutto in caso di necessità di revisione della protesi stessa.

Hip resurfacing: le complicanze

Oltre queste considerazioni sull’invasività della tecnica, è fondamentale parlare di una serie di possibili complicanze ben note e descritte nella letteratura scientifica legate a questa protesi. Le più importanti sono le fratture del collo del femore, le reazioni avverse tissutali e la metallosi. Tutte queste sono sostanzialmente legate al fatto che, sempre per motivi tecnici, il resurfacing prevede obbligatoriamente l’accoppiamento di materiali metallo – metallo che, con l’usura conseguente all’attrito tra superfici, libera ioni metallici responsabili di reazioni avverse sui tessuti. Quando gli ioni di Cr si legano al DNA e inibiscono la riparazione del DNA aberrante.

Sebbene non esistano evidenze che le protesi di rivestimento aumentino il rischio di patologie oncologiche, sono però stati descritti diversi eventi avversi locali: necrosi tissutale estesa, osteolisi periprotesica, masse di tessuti molli o pseudotumor. È per motivo che si consiglia l’impianto di resurfacing solo in pazienti con teste femorali di grande diametro, poiché questo aspetto migliorerebbe la lubrificazione delle componenti con una conseguente teorica minore usura. 

Non esiste attualmente un protocollo di sorveglianza postoperatoria per questi pazienti volta al monitoraggio dei livelli di ioni di CrCo nel sangue.

La selezione dei pazienti

Per ridurre queste complicanze del resurfacing bisogna seguire dei rigidi criteri di selezione dei pazienti e di geometria di impianto: età inferiore ai 60 anni, testa femorale di dimensioni superiori ai 48 mm, sesso maschile, ottima qualità ossea, cotile impiantato a 42° di abduzione e 15° di antiversione. 

È così evidente che il campo di applicazione di questa protesi si restringe ulteriormente, portando oltre il 90% dei chirurghi ad avere abbandonato questa tecnica. Non per la sua complessità o difficoltà tecnica, ma per lo scarso interesse legato allo scarso rapporto tra benefici e rischi. 

La sopravvivenza dell’impianto

Bisogna inoltre sottolineare come in letteratura siano sì presenti degli studi che mostrano una sopravvivenza del 95% a 10 anni (seguendo questi rigidi criteri di selezione), ma scarseggiano studi sul tasso di sopravvivenza a lungo termine delle BHR dell’ultima generazione. Sulle protesi classiche invece la sopravvivenza è intorno al 80% a 25 anni. E si tratta di protesi impiantate 25 anni fa coi materiali di allora, la cui usura ed efficienza non è nemmeno paragonabile alle moderne protesi con accoppiamento ceramica-ceramica o ceramica-polietilene cross-linkato, ove l’usura delle componenti sottoposte ad attrito è praticamente nulla.

Ulteriori svantaggi delle protesi di rivestimento dell’anca

Un ulteriore svantaggio del resurfacing è che l’impianto della protesi è fortemente vincolato all’anatomia del paziente e perciò, in caso di anomalie anatomiche come un’anca displasica deformata, un eccesso di antiversione del cotile o del collo femorale o una dismetria (diversa lunghezza degli arti) non permette di effettuare correzioni, situazioni cliniche invece brillantemente affrontate dalle protesi tradizionali con stelo femorale.

E i vantaggi?

Ma quindi esiste qualche reale vantaggio a impiantare una protesi di rivestimento? È davvero la protesi dello sportivo, come dichiarato dai chirurghi che effettuano questo tipo di operazione?

La letteratura scientifica riporta come vantaggi una maggiore incidenza di ripresa delle attività sportive e degli score funzionali leggermente più elevati rispetto alla protesi classica. Ma questi risultati vanno letti alla luce di due dati:

  • I pazienti sottoposti a protesi di rivestimento, proprio per i criteri di selezione sopra elencati, sono mediamente più giovani e attivi.
  • I chirurghi che effettuano resurfacing “incitano” i loro pazienti a riprendere tutte le attività sportive, laddove invece, con la metodica classica, c’è ancora qualche remora da parte dei chirurghi nell’autorizzazione completa delle attività sportive.

In realtà, con le moderne protesi di tipo classico è consentito riprendere già a distanza di 4-6 mesi dall’intervento la totalità delle attività sportive. Ovviamente ci sono alcune attività più indicate di altre per una questione di buonsenso volta a minimizzare l’usura delle componenti. E così l’unica attività davvero sconsigliata in seguito a impianto di protesi d’anca è la corsa a piedi per via dell’impatto ripetuto col suolo, sempre alla stessa frequenza. Ma questo discorso è valido altrettanto per le protesi di rivestimento dove l’usura, come visto sopra, ha sicuramente delle conseguenze più importanti. 

Per il resto, tutte le cose che può fare un paziente sottoposto a resurfacing le può ugualmente fare un paziente sottoposto a protesi d’anca classica. Con un profilo di sicurezza più elevato in caso di scelta della seconda. 

 

Paziente donna, 38 anni.

 A 3 mesi dall’intervento ripresa di tutte le sue attività sportive preferite, tra cui, soprattutto, lo sci. Protesi d’anca di tipo tradizionale a stelo accorciato con accoppiamento ceramica-ceramica

Birmingham Hip Resurfacing

 

La protesi di rivestimento dell’anca

Protesi d’anca di rivestimento in paziente giovane

 

Fonti:
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